La storia delle Alpi e, in particolare, quella del massiccio del Bianco è storia
emblematica di un mutamento della percezione con cui soprattutto gli europei hanno
visto e giudicato la nostra penisola. Infatti, l’interesse per le bellezze di questa
montagna – descritta ancora nel XVI secolo dal Mercator come “le mont maudit” –
era nato con le prime ascensioni in vetta alla fine del XVIII secolo.
- Proprio questo interesse aveva contribuito in qualche modo a modificare e a superare
– una visione dell’Italia “ viziata”, a causa del Grand Tour, dall’attrattiva esercitata
sui viaggiatori e sugli artisti dall’ eredità della Roma antica.
- Ora, il superamento del modello tramandatoci da Goethe con i suoi Italienische Reise si
era gradualmente sostituito ad un modello nuovo: in parte estetico, fondato
sull’esaltazione della bellezza dei ghiacciai delle Alpi, decantata dai primi ascensionisti
alla vetta più alta e di cui abbiamo una testimonianza preziosa nel volume del Coleman
depositato nella Biblioteca del CAI di Torino ( ma c’è un esemplare anche ad Aosta).
- Il modello estetico, tuttavia, non era stato il solo a determinare il “nuovo corso”:
c’erano altresì considerazioni d’ordine scientifico e penso a Horace de Saussure, che,
oltre a sollecitare due alpinisti di Chamonix ad intraprendere l’ascensione alla vetta
del Bianco ed a premiare la loro audacia con due ghinee d’oro , ardeva dal desiderio di
misurare attraverso un igrometro di sua invenzione l’esatta altezza della punta più
elevata.
- C’erano motivazioni utilitaristiche e politiche dietro l’attraversamento delle Alpi . La
prima ascensione della vetta del Bianco, compiuta nel 1786 da Michel Gabriel Paccard
e da Jacques Balmat, era servita a sfatare la leggenda medievale degli spiriti maligni
insediate sui ghiacciai ma anche e, soprattutto, di considerare le Alpi come una
fortezza inespugnabile preclusa ai mortali – si aggiungeva – ormai da secoli. La
circostanza, ad esempio, che il Priorato di Chambery dipendesse da Courmayeur e,
quindi, che il passaggio da un lato all’altro del Bianco fosse una passeggiata facile
prima dell’insediamento di quei demoni che avevano cosparso di ghiacci e di saracchi i
sentieri una volta circondati dal verde dei prati era credenza molto diffusa, rafforzata,
forse, dall’idea che, altrimenti, Annibale e i suoi elefanti non sarebbero mai riusciti ad
attraversare le Alpi.
- A parte Annibale, il problema dell’attraversamento delle Alpi si pose con Napoleone
Bonaparte: le difficoltà incontrate nel 1800 sul Gran San Bernardo avevano
contribuito a provocare l’inizio di una rivoluzione, quella, cioè, della costruzione di un
percorso meno accidentato di quello imboccato dal Primo Console diretto a Marengo.
- Di qui il piano di sviluppo dei “carriaggi”, di quell'insieme, cioè, dei mezzi di trasporto
a trazione animale utilizzati per trasferire in un primo tempo gli approvvigionamenti
militari al seguito degli eserciti. Si pensi, in particolare, al Colle del Moncenisio ( dalla
Valle di Susa alla Maurienne) e al Sempione ( dalla Valle del Rodano all’Italia
attraverso Domodossola).
- La grande rivoluzione, però, inizia con quella che i francesi chiamarono la “première
lutte des tunnels”, quella dei tunnels ferroviari, cui seguì poco dopo la “deuxième
lutte”, quella, cioè, dei trafori autostradali. In queste “lotte” s’intrecciarono diverse
motivazioni, che andarono molto al di là di quelle legate allo sviluppo dei trasporti su
ferro o su gomma: tra queste c’erano quelle legate alla concorrenza e all’economia,
quelle relative alla tutela ambientale e quelle politiche. A queste ultime, nel febbraio
del 2002, quando il sottoscritto lasciò la carica di Presidente della Commissione
Intergovernativa di Controllo, faceva riferimento l’allora Presidente del Consiglio nel
ricordare che i negoziati per la riapertura del Traforo in condizioni di maggiore
sicurezza ed efficienza dopo l’incidente mortale del 1999 avevano comportato uno
sforzo supplementare nel “superare difficoltà non solo tecniche ma spesso anche dettate
da ragioni politiche contingenti”.
- Cominciamo, dunque, dai tunnels ferroviari. Il più importante fu quello iniziato nel
1857 e terminato nel 1870: il Tunnel del Frejus, da Bardonecchia a Modane, che
serviva per unire Torino alla vecchia capitale del Piemonte, Chambery. La ragione
della costruzione di questo tunnel fu anche - sarei tentato di dire soprattutto – politica:
in un momento in cui il Piemonte, vedendosi preclusa dai Borboni e dagli Asburgo
l’espansione verso l’Europa Centrale e, quindi, avendo decisamente imboccato con
Cavour la strada dell’allargamento nella penisola, si era posto il problema, attraverso
l’apertura d’innovativi canali di comunicazione con Torino, di convincere la Savoia,
piuttosto recalcitrante, al “nuovo corso”. Come non ricordare Pantaléon Costa de
Beauregard, deputato al Parlamento Subalpino nel 1848 e, poi, dal 1854 al 1860, fiero
oppositore della guerra contro l’Austria per la conquista del Lombardo Veneto,
secondo il quale “lorsque les aigles françaises étendront leur vol redoutable sur les
rochers du mont Cenis, ah ! puissiez-vous ne regretter jamais d'avoir si mal compris
l'importance du dévouement des hommes généreux qui les défendent ! C'est là mon vœu
le plus cher, car les affections dynastiques, les traditions, les souvenirs, chez nous, ne
s'éteindront pas dans un jour...».
- Ma ritorniamo a noi. La Convenzione del 24 marzo 1860 pone il problema della
binazionalità del Tunnel del Fréjus, terminato, come ho detto, nel 1870, quando ormai
la Savoia era stata “riunita” alla Francia di Napoleone III. A proposito del Fréjus, è
interessante notare che, subito dopo il Secondo Conflitto Mondiale, le Autorità francesi
si erano poste il problema di come intensificare il traffico turistico tra la Valle di Susa
e quella della Maurienne: di qui, a partire dal 1950, l’istituzione di un servizio di
navette per automobili ma anche per mezzi pesanti tra Modane e Bardonecchia. Si
trattò di un’iniziativa che denotava una progressiva presa di coscienza della necessità
d’intensificare gli scambi tra Francia e Italia anche alla luce dei primi passi - con la
Dichiarazione Schuman del 9 maggio 1950 - verso l’integrazione europea.
- E’ interessante notare che già nel 1860 Parigi aveva incaricato, in un primo tempo, un
ingegnere – Godin de Lepinay – di studiare il tracciato di un tunnel ferroviario sotto il
Monte Bianco e, poi, venti anni dopo un ingegnere d’origine belga, Ernest Stamm, di
mettere a punto due ipotesi di traforo sotto il Monte Bianco.
- I tempi, però, non erano maturi proprio a causa di ostacoli di natura politica. Fin
dall’epoca del Governo Depretis era iniziata la guerra delle tariffe tra l’Italia e la
Francia ( cosa che, certamente, non poteva favorire lo sviluppo dei traporti sul
versante occidentale delle Alpi): guerra acuitasi nel 1881 con le tensioni provocate
dall’occupazione francese della Tunisia ( l'Italia aveva preferito la cosiddetta politica
delle “mani nette”), occupazione che certamente aveva contribuito ad avvicinare
l’Italia agli Imperi Centrali e a concludere nel 1982 la Triplice Alleanza.
- Quali le conseguenze di tutto ciò? Direi che, dal punto di vista che qui più ci interessa,
l’apertura della linea ferroviaria attraverso il Traforo ferroviario del San Gottardo
per unire l’Italia, attraverso Milano, alla Germania bismarckiana e inaugurata nel
1882, è significativa dell’impronta data alla nostra politica estera.
- Le cose cominciarono a cambiare dopo la caduta di Crispi nel 1898 a seguito della
sfortunata impresa abissina. Così, nel 1904 viene ripresa l’idea della linea ferroviaria
sotto il Monte Bianco: idea caldeggiata anche da personalità valdostane, preoccupate
del rischio che la Valle diventasse una enclave. A seguito di un incontro tripartito ,
avvenuto nel 1905 a Ginevra, vennero lanciati progetti dei quali il più importante fu
quello messo a punto da Arnold Monod sottoposto nel 1907 all’attenzione dei due
Governi. Ma lo scoppio della Prima Guerra Mondiale fermò tutto anche se in quegli
anni risultò evidente l’inadeguatezza della sola linea ferroviaria attraverso il Frejus ad
assicurare gli approvvigionamenti all’Italia attraverso la Francia.
- Un ruolo importante per lo sviluppo del commercio tra l’Italia e la Francia attraverso
la costruzione di una nuova via di comunicazione riguardante il Monte Bianco fu
svolto da Giovanni Giolitti fin da quando aveva rivestito la carica di Ministro del
Tesoro nel Gabinetto Crispi. Diventato Presidente del Consiglio e sfruttando la
disponibilità della Francia ( secondo il Ministro Jean-Louis Barthou il progetto del
Monte Bianco era degno di richiamare “au plus haut dégré” l’attenzione del Governo
francese ), egli, che all’epoca manteneva rapporti costanti sull’argomento con
l’Ambasciatore di Francia, Camille Barrère, si era battuto perché il Consiglio dei
Ministri prendesse una deliberazione di massima al riguardo: “e vi sarebbe
probabilmente riuscito – secondo quanto scriveva il 17 gennaio 1907 il corrispondente
romano de La Stampa – se la poca concordia (per non dire la discordia) fra i
rappresentanti di Torino e del Piemonte non avesse fatto cadere ogni buon proposito nel
nulla”. Sempre il giornalista de La Stampa concludeva così il suo pezzo “Figuratevi che
allora una Commissione non so bene quale, cui era stata fatta offerta di un valico
internazionale, rispondeva: noi vogliamo la Piovà-Casale!”.
- Agli anni trenta risale un primo concreto progetto di Traforo autostradale: nel
febbraio del 1933 viene richiesta ai due governi una concessione sulla base di un
progetto tecnico e finanziario – redatto anche esso dal Monod – c che contemplava il
pagamento di un pedaggio, strumento ritenuto indispensabile per un passaggio
automobilistico redditizio. Non dimentichiamo che eravamo nel periodo del cd Fronte
di Stresa dell’aprile 1935, il cui carattere distensivo durerà poco a causa dell’impresa
etiopica. Diciamo, però, che negli anni trenta inizia la “deuxième lutte des tunnels”
quella, cioè, dei tunnels stradali.
- Terminato il Secondo Conflitto Mondiale l’idea del Traforo sotto il Monte Bianco fu
ripresa da Dino Lora Totino: un’idea da realizzare soltanto come iniziativa privata e
che portò il 15 marzo 1946 all’apertura di un piccolo tratto di roccia sul versante
italiano. All’iniziativa s’interessarono subito i i francesi (Lora Totino aprì a Parigi una
filiale) e il Cantone di Ginevra.
- Ben presto, però, ci si accorse che era indispensabile coinvolgere nell’impresa i
Governi direttamene interessati. All’11 maggio 1949 risale la decisione d’istituire una
Commissione Intergovernativa franco-italiana primo passo verso la realizzazione di
una impresa preconizzata due secoli prima dal de Saussure con le seguenti parole:” Un
jour viendra où l’on creusera sous le Mont-Blanc une voie charretière et ces deux vallées,
celle de Chamonix et le Val d’Aoste, seront unies….”. Il grande naturalista ginevrino, in
occasione della sua ascensione sulla punta più elevata, aveva sostenuto che, tracciando
una linea retta tra Roma e Parigi, questa attraversava le Alpi proprio in
corrispondenza del Monte Bianco.
- Ora, nei piani di ricostruzione del nostro Continente dopo la fine del Secondo Conflitto
Mondiale, l’OECE, nata, come è noto, per dare attuazione al Piano Marshall, il
progetto di costruzione del Tunnel sotto il Monte Bianco figurava tra le grandi opere
infrastrutturali sollecitate; ed aveva trovato un sostenitore convinto, oltre che nel
Ministro degli Esteri, Carlo Sforza, che aveva definito - in occasione dell’incontro di
Santa Margherita del febbraio 1951 - l’impresa del Bianco “la grande via del sole”, nel
Presidente Alcide De Gasperi., a sua volta indotto da una delle più illustri personalità
aostane, l’onorevole Paolo Alfonso Farinet ( i suoi due zii, anche essai parlamentari tra
il 1890 e il 1912, furono, a giusto titolo, “pionieri” dell’impresa del Monte Bianco) a
sposare la causa del Traforo. De Gasperi, recatosi a Parigi nell’autunno del 1952,
dichiarava che si era trovato talmente d’accordo con il suo collega francese, Antoine
Pinay , da considerarsi entrambi “padrini del Traforo del Monte Bianco”.
- A seguito dell’intesa De Gasperi - Bidault del 26 febbraio del 1953 per presentare ai
rispettivi Parlamenti il progetto, il 14 marzo dello stesso anno veniva firmata a Parigi
la “Convenzione per la costruzione e la gestione di un Traforo attraverso il Monte
Bianco”, che istituiva le due Società, quella francese a prevalente partecipazione statale
e quella italiana a prevalente partecipazione privata ( più precisamente le azioni – da
100.000 lire l’una – furono così ripartite: 4080 a privati; 2570 allo Stato italiano, 250 al
Cantone di Ginevra e 250 alla Città di Ginevra).
- La Convenzione venne ratificata dal Parlamento italiano nel 1954 e, più precisamente
dalla Camera dei Deputati il 14 luglio e dal Senato il 30 dello stesso mese; mentre, per
quanto riguarda la ratifica francese, questa si era fatta attendere. Il testo della
Convenzione, infatti, approvato dal Consiglio dei Ministri nel maggio del 1955,
soltanto il 14 gennaio 1957 era stato adottato dall’Assemblea Nazionale e il successivo
11 aprile dal Senato.
- Quali le ragioni di questo ritardo? Premesso che anche in Italia e, in particolare a
Torino, si era levata qualche voce a favore dell’alternativa rappresentata dal traforo
del Frejus, tuttavia abbastanza rapidamente zittita, nel Parlamento francese - ma
anche in seno allo stesso Governo – si erano all’epoca manifestate molte resistenze, in
particolare da parte di quei parlamentari eletti nella Valle del Rodano ostili ad un
progetto che, a loro parere, rischiava di distorcere dalla Costa Azzurra e dall’utilizzo
del porto di Marsiglia importanti correnti di traffico commerciale e turistico. Così la
discussione in seno al Consiglio dei Ministri sulla trasmissione al Parlamento francese
della Convenzione del 1953 era stata piuttosto vivace a causa dell’opposizione del
Segretario ai Trasporti, Auguste Pinton.
- Nel corso della Conferenza tenutasi a Roma l’11-12 gennaio 1955, il Presidente
Mendès-France, nel rispondere alla delegazione italiana, che sottolineava l’interesse
del nostro Paese ad una sollecita ratifica da parte dell’Assemblea Nazionale e del
Senato della Convenzione già ratificata due anni prima dal Parlamento di Roma,
osservava che Parigi si trovava confrontata con due ostacoli: il primo era
rappresentato da considerazioni d’ordine finanziario ( a partire dal 1954 la Francia
doveva fare fronte ai problemi del suo impero coloniale: la prima guerra d’Indocina,
con la sconfitta di Dien Bien Phu nel giugno del 1954; l’inizio della guerra
d’indipendenza algerina in un paese popolato da circa un milione di pieds-noirs; la
concessione dell’indipendenza alla Tunisia a partire dal 1956 e i negoziati per il ritiro
dell’esercito dal Marocco).
- Il secondo ostacolo, invece, dipendeva da “certains doutes” in seno all’opinione
pubblica francese circa le reali intenzioni dell’Italia di concludere un’intesa con le
Autorità svizzere per costruire il Traforo del Gran San Bernardo, cosa che, sempre
secondo il Presidente francese, avrebbe cambiato i dati di fondo del problema. A
questo proposito, la risposta del nostro Ministro degli Esteri, Gaetano Martino, era
stata netta: non s’intendeva affatto costruire un tunnel tra l’Italia e la Svizzera a meno
che una simile eventualità non fosse stata provocata dall’impossibilità di operare il
traforo sotto il Monte Bianco. In quell’occasione Martino aveva fatto presente al suo
interlocutore - probabilmente con riferimento ad un tunnel automobilistico sotto il
Fréjus – che per l’Italia l’alternativa al Monte Bianco era il Gran San Bernardo, ciò
che escludeva che alla frontiera tra Italia e Francia potessero essere messi in cantieri
altri trafori.
- Per la verità, le obiezioni del Presidente francese avevano una parvenza - preciso
“soltanto una parvenza” - di verità. Dal Resoconto della 178ma seduta del Senato in
data 30 luglio 1954 (pagina 7058), con la quale la nostra Camera Alta ratificava a
grande maggioranza il testo della Convenzione del 1953, si desume che, di fronte alle
dichiarazioni dei Senatori Perrier e Piola, contrari al progetto del Monte Bianco, a loro
avviso nocivo per la Regione Piemonte “già così sacrificata nelle comunicazioni
ferroviarie e turistiche”, il Sottosegretario Badini Confalonieri assicurava che il
Governo avrebbe esaminato “con la maggiore benevolenza ogni altro progetto che fosse
sottoposto al suo esame in ordine ad opere analoghe a questa”.
- Tutto ciò premesso, in seno al Ministero degli Esteri italiano erano affiorate posizioni
diverse circa il modo di superare l’impasse provocato dalle Autorità francesi. In
particolare, di fronte a coloro che propendevano per una “linea dura” nei confronti di
Parigi (consistente nell’imporre una data limite per la ratifica e specificando che, alla
scadenza di tale data, il Governo italiano si sarebbe ritenuto libero dal procedere
all’esecuzione di altri trafori stradali transalpini), gli uffici più direttamente coinvolti
nelle trattative ritenevano che la Francia non sarebbe venuta meno ai suoi impegni,
tenendo conto, tra l’altro, che la dissoluzione dell’Assemblea Nazionale aveva
comportato la presentazione da parte del Governo di un nuovo disegno di ratifica
approvato il 24 gennaio 1957 con 530 voti favorevoli, 16 contrari e 7 astensioni. Al
Senato l’11 aprile i voti favorevoli furono 230 e quelli contrari 72. La relativa Legge -
n° 57-506 del 17 aprile - autorizzava , oltre alla ratifica (lo scambio dei relativi
strumenti avvenne il 22 giugno), la sottoscrizione da parte dello Stato della somma di
210 milioni di franchi nel capitale della Società francese, oltre ad accordare a
quest’ultima una somma a titolo di sovvenzione pari a 1 miliardo e 790 mila franchi.
- Il 26 luglio 1957 il Governo francese approvava lo statuto della Società francese e
nominava Edmond Giscard d’Estaing alla presidenza. Henri Bastien ne sarà il
Direttore Generale. Il 1°settembre dello stesso anno, ad Aosta, veniva formato il
Consiglio di Amministrazione della Società italiana e nominato suo Presidente
l’Ambasciatore Francesco Jacomoni, cui succederà Paolo Alfonso Farinet. L’incarico
di Amministratore Delegato fu affidato a Giancarlo Anselmetti, Presidente della
Società mineraria Cogne.
- Il 15 settembre 1962 il Presidente del Consiglio, Amintore Fanfani, e il Primo Ministro,
Georges Pompidou, ai quali si era unito il Presidente del Consiglio di Stato e del
Cantone di Ginevra, Jean Treina, compivano la prima traversata ufficiale del Tunnel
sotto il Monte Bianco. Un mese prima, il 14 agosto alle 11.30, l’ultima carica di
dinamite da 410 chilogrammi operava la congiunzione tra la tratta italiana e quella
francese, fino ad allora separate da circa tre metri di roccia.
- L’inaugurazione ufficiale, alla presenza dei due Capi di Stato, il Presidente della
Repubblica italiana, Giuseppe Saragat, e il Presidente della Repubblica francese,
Charles De Gaulle, avvenne il 16 luglio 1965. Al di là dell’ “aspetto solenne
inaugurativo”, particolarmente importante dal punto di vista della sua collocazione del
processo d’integrazione europea avente come prima tappa la libera circolazione delle
persone e delle merci, oltre che dei capitali e dei servizi, quell’incontro aveva finito col
rivestire - per le ragioni che adesso dirò - una grande importanza dal punto di vista
politico: ciò che aveva indotto le personalità dei due Governi ( erano presenti a
Courmayeur i Ministri degli Esteri dei due Paesi, Amintore Fanfani e Maurice Couve
de Murville) ad incontrarsi a Villa Bagnara per un prolungato e non facile colloquio.
- Il 30 giugno a Bruxelles, 16 giorni prima della solenne inaugurazione del Tunnel, la
delegazione francese aveva interrotto i negoziati concernenti le proposte della
Commissione Hallstein sul finanziamento della Politica Agricola Comune. In
particolare, tali proposte andavano nel senso di un rafforzamento dei poteri del
Parlamento Europeo e della Commissione, dell’attribuzione di “risorse proprie” al
bilancio comunitario (fino ad allora alimentato dai contributi degli Stati Membri) e del
passaggio, per l’adozione di proposte della Commissione in talune materie, dal voto
all’unanimità, fino ad allora imperante, a quello maggioritario. Di qui, la decisione di
Parigi, resa pubblica il 1° luglio, di non voler più essere rappresentata nei Consigli dei
ministri della CEE e di ritirare il suo Rappresentante Permanente a Bruxelles. Iniziò
così il periodo della cosiddetta “sedia vuota” provocato dalla Francia e conclusosi nel
gennaio 1966 con il Compromesso di Lussemburgo.
- Questa era, dunque, l’atmosfera che dominava a Courmayeur quella mattina del 16
luglio, anche se, occorre riconoscerlo, si era cercato da parte sia italiana che francese di
creare un clima di distensione e di serenità legato ad un avvenimento che - come il
Presidente Saragat aveva osservato col mettere in evidenza la volontà degli uomini di
superare gli ostacoli naturali per meglio conoscersi ed intendersi – s’inquadrava
perfettamente nell’obiettivo, proclamato dai Trattati di Roma, di “un’unione sempre
più stretta dei popoli europei”. Per la verità, qualche piccolo malumore, presto
superato, c’era stato: il Cantone di Ginevra non era stato invitato alla cerimonia e ai
suoi rappresentanti era stato fatto presente che le circostanze che l’accompagnavano -
il summit italo–francese legato a circostanze straordinarie – avevano consigliato un
formato ristretto.
- Un’ultima chiosa, che riguarda il discorso pronunciato dal Presidente De Gaulle.
Alcuni giorni prima dell’incontro di Courmayeur la nostra Ambasciata a Parigi aveva
appreso che il progetto preparato dal Quai d’Orsay era andato incontro a qualche
obiezione da parte dell’Eliseo. Si sussurrava, soprattutto, che al Generale non era
piaciuta l’espressione “soeurs latines” con cui s’indicava, ormai tradizionalmente, il
rapporto tra l’Italia e la Francia. Il 16 luglio De Gaulle aveva fatto allusione a questo
rapporto parlando di “cousines latines”, ciò che, naturalmente, aveva sollevato qualche
divertito interrogativo. Secondo quanto mi è stato in seguito riferito, è che
l’espressione “cousines latines” era stata voluta dal Presidente francese per un senso di
rispetto e di delicatezza nei confronti degli italiani; perché se egli avesse impiegato
l’espressione “soeurs latines” allora ci si sarebbe posto il problema di sapere a chi
spettava la primogenitura!